Cosa ci ha fatto veramente Arthur Fleck

Il film Joker: folie à deux è un capolavoro. Per qualche motivo, però, sta facendo incazzare tutti: sale semi-vuote, incassi deludenti, recensioni e commenti per lo più negativi.

I fan sono infuriati. Alcuni volevano un film drammatico e non un musical. Altri dicono che è noioso, senza ritmo, inconsistente, poco innovativo rispetto al primo capitolo, che vive di citazioni e ripetizioni. Ma questi commenti dicono molto più su chi li fa, che sul film in sé.

Forse il motivo di fondo della delusione è un altro.

Partiamo dal capitolo precedente.

Il primo Joker è un film sulla lotta di riconoscimento. E' la storia di un oppresso la cui quotidianità è fatta di soprusi e umiliazioni, che indaga sulle sue origini e che, in fondo, non chiede altro che di essere amato. Ma il riconoscimento che vuole ottenere Arthur è a doppio binario. Infatti il film è anche la storia di un megalomane che si è messo in testa di voler fare il comico, senza però saper fare ridere. Arthur è il prodotto di una società che vuole tutti brillanti, tutti artisti, tutti creativi... un'idealizzazione di sé che rende incapaci di accettare la propria mediocrità, il fatto di non avere nessun talento, di non essere nulla di che. Arthur è il malriuscito nietzscheano che non accetta il proprio posto nel mondo, è l'uomo del sottosuolo che pretende di ottenere un rispetto che per forza di cose non potrà mai arrivare. E invece, nel suo caso, paradossalmente alla fine il rispetto arriva.

Nel secondo capitolo, la vicenda interiore di Arthur ricorda più la storia di Raskol'nikov, il protagonista di Delitto e Castigo. Al processo vengono chiamati a testimoniare alcuni personaggi secondari del primo film. Per la prima volta Arthur vede le cose anche dal loro punto di vista. Comincia a rendersi conto che anche le sue azioni hanno delle implicazioni, che il mondo non si divide in vittime ed oppressori, che anche lui ha la sua fetta di responsabilità, che è troppo comoda dare sempre e solo la colpa agli altri. Sente la coscienza che lo riporta al di qua del bene e del male. Alla fine rinnega Joker, deludendo i sostenitori.

Quello che rende veramente geniale il film è il fatto di essere una meta-narrazione non solo del primo capitolo, ma anche del secondo! In qualche modo il film riesce ad anticipare la reazione che gli spettatori avranno guardando il film stesso.

Quando, sulla scalinata, Lee/Harley respinge Arthur, lo fa dicendogli una cosa spiazzante: ci era rimasta solo la fantasia, e tu ci hai tolto anche quella.... Ma chi è quel noi sotteso dalla frase? Chi sono quelle persone che escono deluse dall'aula di tribunale quando Arthur rinnega Joker? Quelle persone sono i fan che escono delusi dal cinema dopo aver visto il film. Erano inconsapevolmente andate lì per vedere un simbolo. Ma non tanto il simbolo della propria oppressione, quanto quello della propria auto-narrazione vittimizzante. Infatti Arthur non incarnava solo gli incel che lo avevano eretto a simbolo della loro sofferenza, ma anche tutte le femministe del sottosuolo, e in realtà chiunque, animato da risentimento e volontà di potenza, finisca per abbracciare in modo acritico una qualche ideologia polarizzante, che agisce come castello di razionalizzazioni, protegge il proprio narcisismo e dice: “il mondo si divide in buoni e cattivi: i colpevoli, quelli contro cui puntare il dito, sono gli altri! Tu, poverino, sei il buono, la vittimina, l'oppresso! Devi solo lamentarti!”

Il primo film svelava tutta una serie di menzogne che hanno sempre permeato l'immaginario classico di Batman, un immaginario sostanzialmente borghese in cui un miliardario buono si traveste per combattere folli criminali, mostrandoci la storia da un altro punto di vista e riconoscendo finalmente la natura sociale del disagio psichico. Ora, più o meno nella stessa misura, Joker: folie à deux compie un'operazione di meta-smascheramento mostrandoci che anche il primo film conteneva a sua volta tutta una serie di menzogne. La scena finale del primo film, in cui Joker spara in faccia a Murray, è entrata di prepotenza nella storia del cinema. A riguardarla ora fa tutto un altro effetto. Quel discorso iconico si palesa adesso in tutta la sua superficialità. Quando Murray chiede a Joker “come mai tanta autocommiserazione?”, non sta forse anticipando la riflessione dello stesso Arthur/Joker nel secondo capitolo? Che due domande se le siano fatte anche gli sceneggatori?

E' sempre colpa degli altri, noi siamo sempre perfetti e inattaccabili. Ma crescere vuol dire anche smettere di raccontarsi delle favole e prendersi le proprie responsabilità. Alla fine Arthur lo fa. Capisce che non può essere quel simbolo che tutti vedono in lui, e in lui avviene una maturazione: non è più la stessa persona che era alla fine del primo film.

Ora manca solo che a maturare sia il pubblico.