Anti-teoria della classe disagiata
La teoria della lotta di riconoscimento è debolissima perché è fondata sulla concezione del desiderio come mancanza. In realtà sia il soggetto che la comunità sono plasmati di volta in volta dai concatenamenti in cui essi si trovano inseriti. Il bisogno di riconoscimento è sempre storicizzato e orchestrato, ha sempre una sua temporalità e una sua forma predeterminata. Non esistono società dove non ci sia una qualche forma di riconoscimento (onore, rispetto, reputazione o status) ma il macchinario del riconoscimento si innesta e innesca dall'esterno. Non c'è niente di innato e universale.
Esempio: l'industria della vanity press è fondata sul bisogno narcisistico sentito dallo scrittore di colmare il gap tra la sua condizione e la sua immagine idealizzata (lo scarto tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere). Ma il soggetto-scrittore e la comunità-editoriale come si sono formate? Non sono le contingenze storiche e il sistema economico ad aver plasmato il sogno di pubblicare un romanzo, di essere riconosciuti da una conunità come scrittori?
Ventura rovescia la piramide di Maslow ma rimane imbrigliato in un'idea di riconoscimento come bisogno fondamentale da ottenere a tutti i costi. Non vede il macchinario, l'orchestrazione, il modo in cui l'illusione del bisogno-mancanza viene innescata. Attacca Deleuze e Guattari ripetendo i soliti luoghi comuni filo-hegeliani sulla teoria delle macchine desideranti come snodo centrale dello sviluppo della società dei consumi. Peccato perché è proprio una rilettura anti-edipica e anti-dialettica del disagio generazionale a svelarne i presupposti illusori latenti.
Ciò che causa infelicità e malessere non è tanto il fatto di non riuscire a realizzarsi, ma il credere nella finzione del bisogno di doversi realizzare a tutti i costi, cioè di ottenere riconoscimento in ambito professionale (ma non solo). Nessuno ha veramente bisogno di titoli o carriere, di un pubblico nutrito, di essere seguito o ammirato dalle masse. Si avverte questo bisogno perché non si vede cosa lo ha generato.
L'importante è che la volontà di potenza (intesa come atto di creazione) trovi un modo per fluire, che si inneschi un divenire, che si capisca che concepire il desiderio come bisogno-mancanza vuol dire in ultima analisi infliggersi l'esistenza.